di Maria Pia Fontana
Il libro Migranti, la sfida dell’incontro, a cura di Giorgio Paolucci (2016) che accompagna un’accurata e documentata mostra fotografica e video sul fenomeno dell’immigrazione, non propone ricette o facili soluzioni ad un fenomeno complesso né trascura le criticità del nostro sistema di accoglienza, ma vuole rappresentare un piccolo strumento di contrasto alla “globalizzazione dell’indifferenza”, un esercizio per i nostri occhi e per i nostri cuori pigri, oltre che una provocazione che svela l’infondatezza di tanti pregiudizi e luoghi comuni, come per esempio quello che vede negli stranieri presenti in Italia una stragrande componente di musulmani.
Se l’immigrazione ha sempre accompagnato l’umanità, con l’avvento della globalizzazione, le frequenti crisi politiche, economiche ed ambientali la sua dimensione è sensibilmente cresciuta e ciò ha modificato radicalmente sia il volto dei paesi di origine che la base sociale dei paesi di destinazione. Negli ultimi 15 anni il numero dei migranti è aumentato del 41%, con un tasso medio di crescita annuo del 2,3%, doppio rispetto a quello dell’incremento demografico mondiale (pag. 96). In Italia si calcolano più di cinque milioni di persone, pari a l’8,2% della popolazione, provenienti da 200 paesi diversi, di cui circa 130.000 sono richiedenti asilo. I riflessi dei cambiamenti demografici e nella fisionomia delle famiglie, connessi anche ai ricongiungimenti familiari, ai matrimoni misti e al crescente numero di stranieri di seconda generazione impongono sensibili innovazioni negli assetti organizzativi di tutte le istituzioni, inclusi i servizi socio-sanitari.
Persino l’accoglienza può diventare retorica se perde di vista il volto dell’altro, con le sue risorse ma anche con le sue sofferenze concrete e con le sue difficoltà. Non si ama infatti un concetto o un’idea, per quanto nobile possa essere, si amano sempre le persone e i migranti sono l’immagine concreta della povertà e del volto di Cristo.
All’Europa il Papa chiede, quindi, di rinnovare radicalmente il suo umanesimo accettando la sfida dell’incontro e potenziando la sua capacità di integrare, dialogare e generare. L’accoglienza istituzionale, infatti, come sottolinea una delle voci dei migranti che il testo propone (Nabil Al Lao) non può mai sostituirsi a quella umana che si gioca all’interno dei rapporti e delle concrete interazioni sociali nelle varie comunità locali.

Assaporiamo, inoltre, il valore prodigioso dell’amicizia nelle narrazioni di Mustafà, il minore straniero non accompagnato somalo che sente la meraviglia di poter camminare insieme agli italiani, e dell’ingegnere cinese Francesco Wu, che fonda L’Unione Imprenditori Italia-Cina. Ci immedesimiamo poi nel dramma di Nadia, una giovane rumena che riesce a liberarsi dalla schiavitù della prostituzione grazie a Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, ed impariamo che la generosità ricevuta o il successo sperimentato da qualche immigrato può innescare spirali virtuose di bene e di crescita anche per i loro paesi d’origine, come succede per Raymond, che dopo la laurea in psicologia torna in Congo a dirigere un coro interculturale chiamato Speranza (Elikya) oppure come accade a Seydou, che diventa un mediatore culturale dell’Ufficio minori della Questura di Varese e promuove progetti di sviluppo rurale in Costa d’Avorio. Interessante anche la storia di Sabika, figlia di un pakistano adottato in Italia, perché mostra le inquietudini, ma anche le potenzialità degli stranieri cosiddetti di seconda generazione. Chiaramente sappiamo bene che non sempre le storie di immigrazione sono storie felici, di amicizia, di integrazione e di conquista di un proprio posto nel mondo. Il sistema di accoglienza e le soluzioni organizzative adottate presentano delle criticità che nei vari territori possono determinare forti conflitti ed evidenti contraddizioni e carenze, e sappiamo bene come i drammi di tante persone siano diventati per qualcuno occasioni di profitto. 
Peraltro, una conoscenza astratta ed intellettuale del fenomeno migratorio non è sufficiente a migliorare gli strumenti giuridici e operativi a disposizione, sebbene possa stimolare sguardi meno superficiali. Occorre soprattutto il coraggio e una certa dose di serenità e di curiosità personale per lasciarsi toccare e coinvolgere dall’incontro con l’altro accettando il rischio di metterci in gioco per accrescere la nostra umanità, rilanciare dinamicamente la nostra identità e migliorare la qualità di vita e di integrazione delle nostre comunità. Bisogna ripartire dall’amore – scrive Fausto Bertinotti – non come sentimento privatistico, consolatorio o religioso, ma nelle sue potenzialità pubbliche e civili. “Amore e lotta contro la disuguaglianza, per l’uguaglianza, debbono camminare uno accanto all’altra”(pag. 173).
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Spero di esserci. Complimenti sempre Maria Pia
Condivido e non appena avrò letto Ti dirò. Tuttavia sono certa della straordinarietà del contenuto. A più tardi.
Grazie Lucia, è stata una bella esperienza e spero che da questo seme possa nascere quacosa di buono. A presto!
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